Capitolo I
Dagli albori ad oggi
Topo Adelmo non è un topo comune: un Mus musculus, tanto per dire.
No-no, lui appartiene alla famiglia degli Apodemus sylvaticus, mammiferi roditori della famiglia dei Muridi: il cosiddetto topo selvatico, molto diffuso in gran parte dell’Europa Occidentale.
Proprio grazie alla straordinaria capacità di adattamento di questa specie, Adelmo e molto prima di lui i suoi avi, hanno saputo adattarsi ai vari cambiamenti climatici e agli innumerevoli spostamenti effettuati nel corso dei secoli alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Emigrazione planetaria, dai secoli nei secoli… eh sì, questo vale tanto per gli uomini (bipedi e vanitosi) quanto per i topi e tutte le creature viventi. Migrare in cerca dell’appezzamento migliore in cui poter vivere.
A tal proposito, esiste un detto molto saggio tra i mammiferi roditori che dice così: Perché ti lamenti? Siamo tutti discendenti di emigranti, da quando Topo Adamo e la Topa Eva hanno dovuto lasciare il Paradiso”.
Dalla foresta Tosco-Emiliana, la famiglia di Adelmo era migrata verso i boschetti più prossimi alla città ducale (quella dei Farnese, dei Borbone e di Maria Luigia), dove sarebbe stato indubbiamente più facile procurarsi cibo fresco e godere di qualche privilegio.
Una notte di gelido inverno, di quelli che ti fanno rizzare baffi e codino (codino, ho detto!), la famiglia Detopis al completo si era messa in cammino, con zaini e carrioline stracariche di oggetti personali, squittendo qualche allegra canzoncina e filastrocca di tradizione topica, giusto per tenere su il morale.
Squit squit, noi siamo piccini, coraggiosi e pur dei gran virtuosi, dacci un tocchetto di formaggio, qualche mela, e vedrai che dolce assaggio. Tu bipede vanesio non credere d’esser l’unico perfetto, anche un piccolo essere baffuto può diventar prefetto. Piccolo, piccolo sì, ma che intuizione:
in un battibaleno egli passa all’azione! Oh certo, per ogni gatto che ride c’è almeno un topo che prega, ma chi lo dice che non si possa far insieme una gran bottega?
Dopo giorni di faticoso cammino, la famiglia Detopis al completo era giunta fino ai cespugli del parco Ducale, un luogo accogliente in cui aveva deciso di mettere le radici, proprio accanto al Tempietto di Arcadia. In quel luogo fuori dal tempo, gli innamorati andavano a scambiarsi baci e promesse, all’ombra di vecchie colonne.
Solo sul principio del Novecento, in pieno clima Belle Epoque, illuminati dall’elettricità e da una ventata di entusiasmo, dal can-can della Parigi dei fratelli Lumiere e del Moulin Rouge, la famiglia Detopis fece il suo trionfale ingresso nella città della Duchessa austriaca.
I trisavoli di Adelmo esclusero la periferia e, da buoni intenditori quali erano, optarono per il centro storico, attratti dai palazzi eleganti, dal giallo dorato delle loro facciate, dalle stradine di ciottoli e le vetrine scintillanti delle due arterie centrali.
Hm, quanta buona robetta ci vedevano esposta: tramezzini rigonfi di formaggio e salsine deliziose, pasticcini al cioccolato e alla crema, torte di pan di Spagna a più piani da scalare morso dopo morso fino alla vetta, delizie croccanti di nocciole tostate da sbeccarsi i primi canini e diventare, nel giro di poche settimane, grassottelli come i topi di città che hanno sempre pancia piena e testa pesante per via della digest-squit!-ione in atto. Squit! Rutt!
Per l’esattezza, s’insediarono nella Via degli Antiquari, mica robetta da migranti senza aspettative; una via incastonata come una pietra antica nel cuore storico della città spruzzata di ciottoli e botteghine, che da Via Farini s’incamminava lenta verso Via XXII Luglio. Tutto un negozietto di cornici, cappelli, e oggettistica proveniente da ogni angolo del pianeta, piccole librerie, calzolai, botteghine di vestiti usati e pregevoli sartorie, persino una panetteria con esposto ogni ben di Dio (topico) e poi… quel clima irresistibile, quell’atmosfera antica di storia e maestranze che ogni giorno si danno un gran da fare.
Ecco, in quella via anche loro si sarebbero dati un gran da fare per dimostrare ai loro detrattori tutta l’abilità topica; e di nemici ce n’erano così tanti, ma così tanti che più di così non si sarebbe potuto immaginare… per tutti gli Squit del buon costume!
E mica solo felini, gatti randagi perennemente affamati, o gufi della notte, no-no, i peggiori detrattori erano le femmine bipedi di bell’aspetto e i maschi anziani col cappello sempre alle prese con trappole e veleni.
Dapprima si stabilirono in un fatiscente ripostiglio (roba da dimenticare) di proprietà di un rigattiere panciuto, perennemente sbronzo, che tentò mille volte di farli fuori con arnesi incredibili di sua invenzione: catapulte in miniatura, trappole a molla, a gabbia, a colla, trappole esplosive, elettriche: un campionario raccapricciante di arnesi da tortura degni di un serial Killer.
Per non parlare di quei veleni nauseabondi che il ciccione sistemava ovunque, dimenticandoseli e rischiando di respirarne lui stesso i letali effluvi, principi attivi di ultima generazione pensati per sterminare intere comunità di roditori.
Fortunatamente, i membri della famiglia Detopis si dimostrarono ogni giorno più scaltri, ben addestrati dal capo branco a scongiurare le armi letali del ciccione, ma quei continui attentati, l’accanimento con cui il padrone di casa portava avanti la sua crociata topica, obbligarono la famiglia Detopis a cercare un luogo più sicuro in cui poter crescere la nuova generazione di simpatici topini.
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