Rosa orizzonte

(in lavorazione)*

Barcellona, settembre del 2019

Una grande casa di famiglia, per anni disabitata, da un paio di mesi in ristrutturazione. Soffitti alti, pareti verde salvia, rifiniture in legno, tanti libri e dischi in vinile, fotografie e quadri ammonticchiati. La polvere era stata rimossa dalle cure di Carmela che per una settimana non aveva fatto altro che areare, spostare mobili, pulire e lucidare in ogni angolo.

Sophia percepì le ginocchia molli.

Sarebbe potuta cadere se Beatrice non le avesse sussurrato di continuare e quanto le piacesse: doveva sentirle quelle parole. La riaccesero di più.

Le parole possono mentire, il corpo no: non sa come farlo, non conosce trucchi, escamotage. Lo aveva tra le mani, il suo corpo, era evidente che non mentisse. Come può farlo, la pelle che diventa brivido? Le pupille che si ricolorano di una nuova intensità? E la carne delle labbra che inturgidisce, una rosa che si schiude ai primi raggi di maggio.

Accolse la sua lingua dentro la bocca, con la sua le ridisegnò le labbra, come faceva con la matita rosa, la mattina davanti allo specchio. Prima sopra, poi sotto, quindi univa i contorni.

Era così eccitata e sentiva che anche Beatrice, ormai, faticava a trattenere le sue voglie.

Aveva un suono antico il suo piacere, un suono di “s” solleticanti, di brevi silenzi e ansimi. Di nuovo, “s”, “r”, “v”, erano le consonanti a tessere la trama sonora.

Si sarebbe anche fermata, lì, per non correre il rischio di rovinare tutto ma, a quel punto, non era più possibile. Beatrice era troppo desiderabile e la faceva sentire alla stessa maniera. Glielo stavano dicendo i suoi occhi, le sue mani, i baci, le parole che di tanto in tanto le sussurrava, accordandole con i sospiri affannosi.

Sophia le sfilò la canotta, su, dalle braccia; Beatrice fece lo stesso con lei preferendo farla scendere dalla vita, lungo le gambe, giù fino ai piedi. Era la sua bambina da svestire per la notte.

Le sbottonò i jeans, con un gesto secco glieli sfilò, dalle anche alle caviglie, un piede, l’altro. Le si inginocchiò davanti, con due dita scostò appena lo slip e le sfiorò le grandi labbra, una, due, tre, quattro volte, e di nuovo… si inoltrò entro quella stretta feritoia, bagnata, calda. Un languore l’avvolse.

 <<Quiero comerte toda>> disse Sophia, esplorandola in punta di lingua. La tirò a sè, affondò la lingua nel suo sesso fradicio, aveva un sapore diverso, più forte del solito, di pietra salata e calda, sotto i raggi del sole. Poi, si rimise in piedi, si ritrovarono una di fronte all’altra, anche Beatrice le tolse la gonna.

<<Para carino>> disse Beatrice sorridendo, poi la fissò seria. <<Esta es la cuarta regla: non voglio segni sulla pelle>>.

Già, pensò lei, la tua parte da brava mogliettina borghese: nessunissimo segno visibile di me su di te. Che direbbe tuo marito? L’encomiabile avvocatone penalista, amico della gente che conta, quello che entra solo in certi locali e ha più tessere di club privati che mutande di ricambio.

Che direbbe se sapesse di noi?

La sua bellissima moglie con un’altra donna, una scultrice, per giunta. Sua moglie bisessuale, o come ti definirebbe? Certamente non disdegnerebbe una bella triangolazione amorosa… tu, che dici?

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