Non posso

(In lavorazione)

“Potrebbe accadere ma ora non posso” disse a fil di voce, lei.

Lui le si mise davanti, era nudo. Non bellissimo ma nudo.

“Facciamo che accada. Ti ho aspettato per un anno”.

“Sei tutto nudo, vestiti ora” le disse teneramente, infilandosi il reggiseno.

Non era una pratica usuale per lui, restare nudo, davanti alla sua amante. Non per pudore, più per inesperienza. Col corpo non aveva mai giocato, sapeva dosare meglio le parole, incantare le sue amanti con le storie che scriveva e poi declamava all’occorrenza.

Si stavano per lasciare, un’altra volta, e non sapevano quando si sarebbero rivisti. Un mese? Due?

Lei aveva un marito, una casa, fortunatamente nessun figlio a cui dover rendere conto, sarebbe stato tutto più complicato. Lì, sì, che i sensi di colpa corrodono. Ultimamente Laura mancava spesso da casa, adducendo scuse professionali, inventandosi visite ad amici bisognosi che richiedevano anche interi weekend. Il marito sapeva e non sapeva, o meglio, preferiva fare come lo struzzo che affonda la testa sotto la sabbia. E la loro, era una sabbia granulosa, il residuo di atti mediocri che avevano sfinito entrambi.

Laura sapeva che anche il marito stava vivendo la sua storia parallela, aveva colto segnali premonitori e segni incontrovertibili sulla camicia di lui e nelle tasche della sua giacca: tracce di rossetto, scontrini di hotel.

Per una donna è più facile capire e anche accettare. Per una donna come lei, annoiata da venticinque anni di matrimonio di cui gli ultimi dieci senza più alcuna vibrazione carnale.

Ma nessuno dei due osava dichiararsi apertamente. Si volevano bene, tutto sommato andavano d’accordo, cenavano volentieri insieme la sera, il marito amava cucinare per lei, dopo aver fatto una spesa accurata: tutto biologico, a chilometro zero, uova e formaggio freschissimi, tagliatelle fatte a mano, di carne non ne mangiavano da anni. Laura era una buona forchetta e lo faceva sentire un ottimo chef, almeno in quello ci sapeva fare. E avevano amici in comune, un cane in comune, una casa in città in comune e pure una al mare che non si decidevano a mettere in vendita, preservava troppi ricordi.

Il suo amante la baciò sul collo, voleva fare ancora l’amore.

Laura disse di no, che non c’era più tempo. Indossava solo gli slip e il reggiseno di pizzo nero, prese la longuette, la camicia verde menta, fece per vestirsi ma il suo amante la prese per un braccio, tirandole a sé. “Non te ne andare, prenderai il treno delle sette, dimmi di sì…”

“Non posso, mi aspettano, lo sai”.

“Tu sai che non è così resta”.

“Hm, davvero e tu… dimmi, tu che ne sai? Ho un marito, ricordi? E domani mi devo alzare presto” gli sfiorò una guancia con le labbra. Lui le cinse la vita con le mani, era così sottile, da adolescente. Infilò la lingua tra le sue labbra, la passò sui denti, Laura le schiuse e si lasciò baciare, inerme, quasi senza fiato. Si bagnò. Anche lei avrebbe voluto scopare ancora, un orgasmo non le era quasi mai sufficiente, dopo un paio d’ore le ritornava più voglia di prima, ma davvero non c’era tempo.

Si sarebbe masturbata quella sera stessa, nel letto matrimoniale, di nascosto dal marito che le russava accanto, facendo piano con le dita, piano nel venire, divaricando appena le gambe. Nessun ansimo, tutto in silenzio. Il liquido tiepido su indice e medio, un clinex sul comodino sempre pronto per ogni evenienza.

Anche il marito, probabilmente, la sera, prima di infilarsi nel letto con la moglie, si ritirava in bagno per farsi una sega pensando alla sua amante e poi veniva guardandosi allo specchio. Una volta lo aveva sorpreso così, non che avesse la malsana abitudine di entrare in bagno quando c’era lui, entrambi evitavano quel genere di promiscuità, ma in quell’occasione Laura aveva aperto la porta, all’improvviso, pensando che lui fosse in salotto e, invece, lo aveva sorpreso nell’atto di masturbarsi, prossimo all’orgasmo, davanti allo specchio.

“Ma che fai?” le aveva detto, imbarazzato.

“Niente, continua pure”.

Era venuto un secondo dopo immaginando la moglie nell’atto di leccarla a Veronica, la sua amante.

Chissà se Laura sapeva di lei. Non erano stati sempre accorti come avrebbero dovuto, probabilmente la moglie si era insospettita quando, una sera, aveva fatto tardi, troppo tardi, per una cena di lavoro ed era rincasato con quella macchia di rossetto sul colletto della camicia. In bagno, lo aveva sfregato col sapone per il bucato combinando un gran pasticcio, infilata in lavatrice insieme agli altri panni, si era dimenticato di farla partire. Laura era meticolosa in fatto di bucato: bianco col bianco, colorati con colorati e sapeva che il marito prestava poca attenzione a quello che infilava in tasca: dimenticava monetine, fazzoletti di carta e scontrini, così passava in rassegna ogni suo indumento.

Doveva essersi accorta di quella macchia di rossetto, a colazione Laura lo aveva guardato in maniera diversa, soppesandolo, ma aveva preferito sorvolare. Erano entrambi colpevoli.

Lui sapeva della tresca della moglie, negli ultimi anni doveva averne avuti almeno un paio di amanti. Non se lo sarebbe spiegato diversamente, sua moglie era sempre stata una donna passionale e vogliosa come nessuna delle sue ex. Negli anni di fidanzamento e nei primi cinque di matrimonio i loro amplessi potevano prolungarsi per interi weekend, Laura non era mai sazia. Poteva beneficiare, oltre che della resistenza erotica del consorte, di un armamentario degno di una pornostar: dildi, vibratori, lubrificanti, manette, fruste, maschere in pelle.

Erano soliti prenotare baite e b&b nei posti più sperduti per potersi amare in totale libertà, senza essere sentiti da vicini o inservienti. Ma per una strana combinazione di fattori avevano smesso di desiderarsi, di cercarsi, di scopare…

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