Non sono abbastanza coraggiosa per l’amore? É un rischio che non posso correre?
Mi ero sfinita di domande dopo il deragliamento della mia storia con Samuel, questa volta ero certa di non essermi sbagliata. Mi sembrava l’uomo migliore che potessi incontrare, dopo una serie di cadute rovinose. E, invece, ci eravamo sbagliati entrambi: io, ad avergli creduto e lui ad essersi illuso che io fossi una donna fragile e manipolabile. La donna dei suoi sogni.
Mi sentivo sfinita, disillusa, cocci ovunque. Quanto tempo mi sarebbe servito per guarire da tutte le ferite che ci eravamo inflitti? Da un senso di scoramento che a giorni mi immobilizzava del tutto. Ero digiuna da un dolore come questo. Totalizzante. Supremo. Ovunque mi girassi vedevo la mia immagine sconfitta e qualcuno sempre pronto a ricordarmi quanto fossi stata ingenua.
Forse non ero nata per amare ed essere contraccambiata, me ne sarei dovuta fare una ragione, pur essendo ancora nel fior fiore degli anni. La relazione con quell’uomo tanto più grande di me mi aveva traumatizzata, anche se facevo di tutto per non darlo a vedere. Volevo resistere a me stessa, prima ancora che agli sguardi compassionevoli degli altri.
Fuori, mostravo un’apparente tranquillità; dentro le montagne russe mi lasciavano senza respiro. Avevo fame d’aria. Boccheggiavo giorno, e soprattutto la notte, come un pesce finito nella rete. Non dimostrare apertamente i propri sentimenti in qualche modo li ridimensiona: lo stavo imparando, a mio discapito. Della mia perenne fame d’aria. Ma quel dolore non se ne voleva andare, restava lì, come una macchia di umidità che si espande dall’interno.
Prima di addormentarmi certe immagini sgomitavano per prendere posto in prima fila. Le nostre litigate, lui che mi strattona per un braccio, mi rifila parole orribili, poi si pente. Io che finisco ancora una volta avviluppata nel suo abbraccio, avvolta dal calore che mi è sempre mancato.
Ero tornata a casa dai miei genitori, la coda tra le gambe, il respiro rotto, nessunissima voglia di elargire chiarimenti. Ero nella mia cara, vecchia camera di bambina, la stessa della ragazzina adolescente che si trincerava tra poster dei suoi beniamini, frasi pruriginose trascritte sul diario segreto e le telefonate sussurrate. Sopra la mia testa, le travi in legno, massicce e quasi minacciose. Tutt’attorno, mensole stracariche di libri e fotografie, pennarelli ed evidenziatori dentro i contenitori, il quadro astratto regalatomi da una zia pittrice. Un volto capovolto? Un vaso col naso? Devo averci trovato di tutto lì dentro.
Non valeva a niente sforzarsi di pensare al presente, concentrarsi sui rumori della casa: la televisione accesa su un documentario di viaggio, la voce acuta della vicina che chiama il marito per la cena, il ronfo del mio gatto che, da quando sono tornata a casa, non mi lascia sola un solo istante. Come se sapesse…
Quanto ci avevo creduto! Samuel mi era sembrato il compagno giusto arrivato al momento giusto, nonostante tutto: la mia strana vita e un lavoro che certamente non mi avrebbe aiutato a mantenere in piedi una relazione stabile. Ballerina di lap-dance, orari assurdi, costumi di scena altrettanto assurdi, almeno stando agli standard degli uomini quando diventano i tuoi fidanzati. Non parliamo delle mamme e dei papà! Loro, così, non mi ci hanno mai vista. Nemmeno sapevano cosa ci fossi andata a fare a 1000 chilometri da casa. Nessuna università, o proposta di lavoro interessante, ero stata molto vaga con loro. Bugie. Telefonate sempre più brevi: loro che fanno domande, io che tergiverso e i sensi di colpa che crescono a dismisura. Forse per quello, poi, sono stata punita.
Sapevo che non mi avrebbero mai lasciata partire. Lap…cosa? Nuda attorcigliata a un palo? Se non altro, con Samuel non ho mai dovuto fingere, sapeva benissimo cosa facessi e come mi guadagnassi da vivere. Mi aveva scoperta lì.
Era stato una specie di colpo di fulmine il nostro, avevo ritrovato me stessa nei suoi gesti convincenti, la sicurezza di cui avevo tanto bisogno nelle mani senza indugi, nel modo di guardarmi come se fossi un’opera d’arte da proteggere.
Possibile, la gelosia possa distruggere tutto?
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